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(Leggendo lo scritto di Giorgio Bongiovanni, del 2 febbraio 2017 “ I giuda, servi di Dio, che tradiscono la verità”)

   Ho molto letto e mi sono informato sulle apparizioni, e ho assistito a numerose di esse, per poter determinare, senza peccare di presunzione ne tanto meno di autoproclamarmi saccente, cosa accade empiricamente al livello fisico prima, durate e dopo un contatto col cosiddetto “mondo spirituale”. Ho visto veggenti, donne e uomini, concentrati nella preghiera e nella meditazione, anche per lungo tempo, li ho visti irrigidirsi e perdere ogni senso col mondo esterno, li ho visti ritornare dall'estasi stremati, infreddoliti, con gli occhi che vagavano nel vuoto come spaesati.

Essi (o per meglio dire le vere essenze, i loro spiriti) avevano abbandonato il corpo mortale e avevano visitato un mondo estraneo alla loro fisicità, avevano udito “concetti” da tradurre in parole umane, erano ritornati in un mondo imperfetto e caduco, avevano udito nomi e suoni non traducibili, avevano vissuto, per un tempo umanamente non calcolabile, nella patria dello spirito, nel loro mondo “reale”.  Così Paolo di Tarso ricorda il suo “rapimento”: “ Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio) fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo (se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio) fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.” (2ª Corinzi 12, 2-4).
   Per tutti costoro, che si considerano veggenti, già il ritorno nel corpo dovrebbe essere un primo trauma: passare da uno stato mistico, dove la materia diviene impalpabile, le immagini nitide, i personaggi che si incontrano sono tangibili, i pensieri diventano discorsi, il tempo non è legato allo spazio e lo spazio è libero da ogni ostacolo,  il ritornare in un corpo limitato, soggetto alle leggi di gravità e della corruzione, e i pensieri sono legati a suoni gutturali e labiali per essere espressi, sembrerebbe di essere stati sbalzati in una prigione stretta e angusta. “Le visioni dei veggenti che vedono la Madonna – dice Giorgio Bongiovanni - le apparizioni della santa Madre, sono tutte esperienze mistiche divine alle quali bisogna portare rispetto e devozione.”
   È evidente che avere una simile esperienza segna l'animo profondamente non in senso metafisico, ma in modo materiale, se di materia si può parlare per uno spirito che viene marchiato a vita, e per uno spirito “a vita” significa in eterno. Un marchio di appartenenza, perché non appartengono più a loro stessi né ad altri, ma di Colui che può “rapire” perché è lo Spirito creatore di tutti gli spiriti. Costoro che sono stati segnati nello spirito a volte lo sono anche nel corpo con i segni della crocefissione.
   Diventa indispensabile per i veggenti quindi comportarsi come segni del “divino” al quale appartengono. Sono essi stessi segni così come diceva Nicodemo a Gesù: “ Nessuno infatti può fare i segni (semeîa, fatti portentosi) che tu fai, se Dio non è con lui.” (Giovanni 3, 2) Il veggente quindi sa leggere esattamente il mondo materiale se messo a paragone con quello che ha visto nel rapimento; può perfettamente esaminare il comportamento umano avendo conosciuto la verità; sa con saggezza individuare il male, l'ingiustizia, la corruzione, l'ipocrisia, i mercanti di morte, gli affamatori dell'umanità, gli stupratori degli innocenti e della sacrosanta natura. Il veggente è il portatore del segno divino e quindi è lo specchio della stessa volontà divina. È il latore di un messaggio di amore e di giustizia: di amore perché Qualcuno ancora si degna di avvertirci; di giustizia perché l'ordine del cosmo esige rispetto delle regole universali anche dal più piccolo degli atomi della creazione.
   Leggevo, qualche tempo fa, in una rivista cattolica francese a proposito di una veggente, che ella era seguita da un sacerdote, suo padre spirituale, che esaminava ogni messaggio ricevuto prima della pubblicazione. Questo è un atteggiamento seguito da molti veggenti, i quali cercano con una logica umana il riconoscimento ufficiale della chiesa cattolica romana. Essere riconosciuti per avere un merito? Il merito lo si ha quando uno lo consegue, non quando gli viene donato: il merito è del donatore! Essere riconosciuti per avere una lode? Questo atteggiamento è dettato dall'ignoranza, nella migliore delle ipotesi, o dalla vanagloria. “Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! Pur tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze.” (2ª Corinzi 12, 1-5)  “Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote cominciò a interrogarli dicendo: «Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. “ ( Atti 5, 27 – 29)
   Il latore del messaggio non appartiene a questo mondo, né a un gruppo di persone, né ad una singola persona, né ad alcuna istituzione.  Ha ragione Giorgio a gridare che: “ I segni che il Cielo manda sulla terra sono un avallo al messaggio, sono un avallo al linguaggio del verbo che si fa parola, al coraggio di dire la verità. “ Quindi, continua che queste esperienze mistiche se “ non sono avallate da un messaggio a favore della giustizia, a favore dei deboli, contro i potenti e i tiranni del mondo, contro i peccati degli uomini potenti della chiesa, contro tutti i criminali della terra e, soprattutto, avendo sempre il coraggio di dire la verità, l’unica che libera lo spirito degli uomini, quelle esperienze si dimostrano false.
   “Chi aspira alla verità proclama la giustizia, il falso testimone proclama l'inganno.” (Proverbi 12,17) È veramente esecrabile il silenzio di molti veggenti sulle condizioni del genere umano, e mentre continuano i diabolici abusi, massacri, ingiustizie e vessazioni materiali e spirituali, essi ripetono con robotica nenia: “pregate, pregate, pregate”. La preghiera deve essere la carica per l'azione, lo scarico delle tensioni materiali, l'accorato appello dei figli “in questa valle di lacrime” per chiedere la forza di resistere per rimanere incorrotti e per lottare a fianco del Cristo dei giusti.
   Essere veggenti è un compito, una missione, molto, ma  molto difficile: “ Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo; al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio.” (2ª Corinzi 4, 1-2)
   Chi però non ottempera a questa missione, come si presenterà al cospetto di Colui che lo ha segnato come suo servo dal quale si aspettava obbedienza, dedizione e operatività? “Quando un uomo o una donna vengono chiamati da Dio- conclude Giorgio - e ricevono segni divini nei loro corpi o nei loro spiriti, sono chiamati a dire la verità. Se tacciono sono dei giuda e come tali saranno giudicati da Cristo.