testa pagine

Federico II, statua nel palazzo reale NapoliIntanto Federico II si era recato in Germania per rinsaldare l'unione con i principi tedeschi  i quali lo incoronarono nuovamente, ad Acquisgrana nella chiesa palatina di Carlo Magno, nel 1215, re "dei Romani", cioè re di Germania e futuro imperatore. In quell'occasione  fece la solenne promessa di intraprendere una crociata.
Secondo il professor Hubert Houben, Ordinario di Storia Medievale presso l'Università di Lecce, “Il gesto fatto da Federico II nel 1215 è anche una espressione della sua religiosità, un ringraziamento verso Dio per essere riuscito a conquistare la dignità regia. Quindi un atto che è più di una mossa diplomatica per togliere l'iniziativa in questo campo al papa.
Anche Innocenzo III, con la bolla Quia maior nunc, indicendo il nuovo Concilio Ecumenico, nello stesso tempo bandiva la crociata, sottolineando che tutti i principi della terra, in quanto vassalli della Chiesa. avevano il dovere di soccorrere “Rex regnum, Domine Jesus Christus”. Afferma lo storico  professore Franco Cardini che “nella bolla di Innocenzo III non si trovano limitazioni per chi, chierico o laico, giovane o vecchio, ricco o povero, intenda partire.” La crociata era un appello universale. La partenza era fissata per il primo di giugno dell'anno 1216.


Al Concilio Ecumenico Lateranense IV, apertosi l'11 novembre 1215, Innocenzo III poteva sentirsi soddisfatto non solo per l'eccezionale partecipazione ( i patriarchi di Costantinopoli,  Antiochia, Alessandria Gerusalemme, 1500 tra vescovi e abati e badesse) , ma soprattutto per la partecipazione dei rappresentanti di quasi tutte le teste coronate di Europa. A coronamento del Concilio si ribadì la proposta di crociata , concedendo, a chi avesse partecipato o finanziato Onorio III - Giotto,  Basilica superiore d'Assisil'impresa, l'indulgenza plenaria. Poco dopo la chiusura del Concilio, il 16 luglio 1216, moriva a Perugia il papa Innocenzo III. Due giorni dopo, nella stessa città, l'anziano cardinale Cencio Savelli veniva eletto papa e prendeva il nome di Onorio III.  Francesco durante il Concilio era a Roma per parlare con il papa sugli sviluppi dell'Ordine. Non sappiamo se partecipò come uditore a qualche sessione conciliare, però venne a sapere che una delle decisione del IV Concilio Lateranense fu quella che veniva imposto a tutti gli ordini monastici di istituire e riunire dei periodici Capitoli Generali.
Francesco se ne tornò ad Assisi più deciso che mai di voler recarsi in Siria e la crociata poteva essere un'occasione. Il giorno di Pentecoste, il 5 maggio del 1217 riunì tutti i frati in un Capitolo generale dove si stabilì di dividere i luoghi di predicazione in “province” e di procedere a crearne altre in tutte le nazioni fuori dall'Italia. Francesco per questo motivo inviò frate Elia a creare la provincia “Ultramarina,” cioè in Terra Santa, dove si poteva entrare dal porto di San Giovanni d'Acri, fino a Gerusalemme, grazie ad un trattato stipulato da Riccardo “cuor di leone” con il Saladino nel 1191. Francesco ed Egidio invece s'incamminarono verso la Francia, ma arrivati a Firenze il Cardinale Ugolino, protettore dell'Ordine, lo persuase di rimanere in Italia. Nel Capitolo della Pentecoste del 26 maggio 1219 si parlo di missioni tra gli mussulmani: cinque giovani frati, Berardo, Pietro, Ottone sacerdoti, e Adiuto e Accursio frati laici, tutti originari della zona di Rieti, ebbero il permesso di andare in Marocco.  I frati si ripetevano a vicenda la regola: “Quando i frati vanno per il mondo, non portino niente per il viaggio, né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone (Cfr. Lc 9,3; 10,4-8; Mt 10,10).  E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa (Cfr. Lc 10,5).  E dimorando in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro (Cfr. Lc 10,7).  Non resistano al malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l'altra.  E se uno toglie loro il mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica.  Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano (Cfr. Mt 5,39 e Lc 6,29 e 30).” 8
San Francesco ripartito da Ancona arriverà a Damietta forse in agosto del 1219Il 24 giugno Francesco, accompagnato da frate Illuminato, era ancora al porto di Ancona per imbarcarsi verso i campi di battaglia della crociata.
Tutte le forze crociate si erano date appuntamento a San Giovanni d'Acri, e decisero di attaccar guerra non in Palestina, la cui costa in parte era già occupata dagli Ospedalieri, ma di conquistare la città di Damietta, roccaforte saracena sul delta del Nilo, in quanto speravano “così, bloccando quella che era una delle chiavi della prosperità egiziana, di costringere il sultano a trattare per Gerusalemme.9 Il sultano al Kamil, nipote del Saladino, non aveva molta voglia di iniziare una battaglia che ai suoi occhi appariva inutile dato che c'era un accordo che consentiva ai pellegrini di andare in tutta tranquillità a visitare i luoghi santi. Vero era che l'accordo precedente stava scadendo, ma era intenzionato a consegnare ai crociati Gerusalemme in cambio di Damietta, grande emporio commerciale soprattutto di spezie, insieme ad Alessandria. Inoltre gli sembravano inopportune le sanzioni commerciali  imposte dal papa dato che i mercanti cristiani si stavano notevolmente arricchendo in quelle due piazze. Inoltre, con suo vecchio padre al- Adil, detto Safedino, consigliere principale, al - Kamil era circondato da validi consiglieri non solo politico militari, ma anche da poeti e mistici  sufi che lo consigliavano alla prudenza, giustizia e tolleranza. I crociati iniziarono l'assedio, ma Damietta, a due miglia dalla costa, nel delta del Nilo, era posta in modo che avesse acqua a est e ovest e l'accesso fluviale era bloccato da una grossa catena che partiva da una torre, da un lato, fino alle mura cittadine dall'altro.  Il 17 agosto 1218 la torre fu finalmente in mano dei crociati. Alla metà di settembre arrivò nel campo crociato, oltre a rinforzi consistenti, il legato papale cardinale Giovanni Pelagio d'Albano, nominato dal papa Onorio III come guida religiosa della crociata. Insieme al legato era arrivato anche Jacques de Vitry, all'epoca vescovo di San Giovanni d'Acri, che già da quando si era imbarcato aveva cominciato a prendere appunti su tutta la missione. Il sultano fece ufficialmente la proposta: Gerusalemme al posto di Damietta e trent'anni di tregua; i crociati dovevano andarsene e togliere l'assedio. Il cardinale Pelagio però era più attento alla famosa profezia che indicava il sultano come rappresentante del diavolo e che la sua fine era vicina, piuttosto nell'essere attentoJean conte di Brienne, legittimo re di Gerusalemme, in un  dipinto di F. Edouard Picot alla realtà della situazione, per cui non accettò le offerte saracene. Ma immediatamente erano nati  profondi dissidi tra le truppe italiane e quelle francesi. Queste ultime erano comandate dal re di Gerusalemme Jean conte di Brienne, fratello di quel Gautier III de Brienne, re di Gerusalemme, sotto la bandiera del quale il giovane Francesco di Bernardone di Assisi voleva diventare cavaliere. Finalmente Damietta fu assediata e iniziarono i combattimenti. E' in questo momento che probabilmente arrivarono a nel campo dei crociati Francesco e Illuminato. “La battaglia del 29 agosto  fu talmente cruenta da rimanere nella memoria più delle altre. Dopo trent'anni , quando nella sua Vita secunda Tommaso da Celano parlò del viaggio in Egitto ricordando solamente questo episodio10
“Allorché l'esercito cristiano stringeva d'assedio Damietta, vi si trovò il Santo di Dio  coi suoi  compagni. Un giorno dunque i nostri si disponevano a battaglia, saputolo il Santo se ne rattristò fortemente e  disse al compagno: « Se oggi si verrà alle mani, Il Signore mi ha mostrato che ai cristiani non arriderà la vittoria.. Ma se dico questo sarò creduto pazzo; se taccio mi rimorde la coscienza. Cosa ti par dunque che io debba fare?». «Padre – rispose il compagno – non dare importanza al giudizio degli uomini, tanto più che non cominci soltanto ora ad esser creduto pazzo.» ... Allora il Santo balza fuori e si mette ad ammonire i cristiani di non dar battaglia, predicendo la disfatta. Ma essi presero a scherzo ciò che era verità, indurirono il loro cuore e rifiutarono ogni avvertimento. … Durante il combattimento,  il Santo con l'animo trepidante invita il compagno ad alzarsi e a osservare; e poiché non vede nulla una prima e una seconda volta, glielo ordina per la terza volta. Ed ecco volgere in fuga tutta la milizia cristiana, riportando al fine alla guerra la vergogna  a posto del trionfo. Fu così terribile lo sterminio dei nostri,che il numero dei morti e dei prigionieri salì a seimila. Era pieno di compassione il Santo, ed essi di pentimento. Si doleva soprattutto per gli Spagnoli, dei quali, per la loro maggiore audacia, vedeva risparmiati pochissimi.11
Non era passato il dolore della disfatta che i dissidi tra i cristiani si accentuarono. I crociati erano in disaccordo perché gli italiani volevano occupare la città e procedere al saccheggio, mentre il re Jean intendeva occupare Damietta e contrattare uno scambio con Gerusalemme. Su tutti si impose il cardinal Pelagio. A costui non era stata concessa nessuna carica militare in quanto il comandante supremo della V crociata  teoricamente era il re Jean conte di Brienne. Il cardinale fece chiudere il porto in modo che nessuno potesse uscire senza  il suo permesso, e che nessun oggetto potesse essere portato via da Damietta. Inoltre, nell'alterigia della vittoria, e nella superbia di considerarsi un generale provato, Pelagio era intenzionato a continuare la guerra e scartò con sdegno ogni tipo di trattativa con il sultano egiziano al-Malik Al-Kamil, che aveva chiesto di parlare con ambasciatori cristiani e aveva rialzato l'offerta che prevedeva, oltre Gerusalemme, l'offerta di tutta la Palestina centrale e la Galilea Il cardinale disattese persino le informazioni degli investigatori e delle spie che gli riferivano che il nemico stava costruendo segretamente navi e che stavano arrivando rinforzi dalla Siria.
 Ai frati non fu difficile vedere le conseguenze della guerra, e ci è difficile pensare che essi non si fermassero ad aiutare, curare, confortare feriti e moribondi. Inoltre a Francesco non sfuggì di notare il dissidio tra le truppe cristiane: era facile individuare i due schieramenti, di chi era propenso alla trattativa per avere il completo controllo della città santa, e chi al contrario interessava una guerra totale per scacciare definitivamente gli islamici dal medio Oriente. Francesco umilmente si recò presso l'acquartieramento del cardinale Pelagio: chiedeva di recarsi nell'accampamento saraceno. Le reazioni alla richiesta naturalmente rispecchiarono le due fazioni in dissidio tra loro. Ma Francesco era oramai un personaggio molto noto come amico del papa e la cosa non poteva risolversi con un semplice diniego. Fu proprio questo che fece notare il vescovo Jacques de Vitry al cardinale Pelagio. Egli infatti, che si era recato nell'ottobre del 1216 a Perugia per i funerali di Innocenzo III, aveva potuto già notare la presenza dei frati di Francesco in umile preghiera, e aveva scritto a degli amici genovesi: ”Moltissime persone dei due sessi, fra i quali molti ricchi e gente di mondo, hanno abbandonato tutto per amore di Cristo e rinunciato al mondo. Li chiamano “frati minori“ e il papa e i cardinali hanno un grande rispetto per essi. Non si occupano di affari temporali ma lavorano instancabili a salvare le anime dalla vanità del mondo, per impedirgli di perire. E la grazia di Dio ha già fatto raccogliere una ricca messe.”  Francesco insistette così tanto da riuscire a smuovere la caparbietà di Pelagio che alla fine lo lasciò andare nell'accampamento nemico.
S. Francesco, accompagnato da frate Illuminato, nella corte del Sultano - Giotto, Santa Croce, FirenzeFrancesco con passo sicuro, seguito da frate Illuminato, si inoltrò nel territorio dei mussulmani. Due sentinella del campo saraceno intercettarono i frati, e credendoli delle spie, li presero, li picchiarono, li oltraggiarono, e con percosse e pedate li portarono nell'accampamento; e legati vennero portati al cospetto del capo dei saraceni:  al-Malik Al-Kamil. Il sultano capì immediatamente che quegli uomini erano troppo strani per essere dei crociati o ambasciatori dei ricchi occidentali, “senz'armi né armature né gambali, ma erano vestiti di tela di sacco e a piedi nudi.12 Soprattutto quando Francesco cominciò a predicare il Vangelo di Cristo, al comandante saraceno fu fugato ogni sospetto nei riguardi dei frati.
Quando quel principe domandò loro da chi erano stati inviati, a quale scopo, con quale titolo e in qual modo erano giunti sin lì, il servo di Dio Francesco, con intrepido coraggio, rispose che non da un uomo, ma dall'altissimo Iddio era stato inviato, per mostrare, a lui e al suo popolo, la via della salvezza e annunciare loro le verità del Vangelo. E predicò davanti al Sultano, annunziando la verità dell'Unità e Trinità di Dio e di Gesù Cristo Salvatore del mondo, e lo fece con tanto coraggio, con tanta fermezza d'animo e fervore di spirito.” 13  Il comportamento di al-Malik al-Kamil fu estremamente positivo nei confronti di Francesco così come riferiscono le fonti. “Anche il Sultano, osservando l'ammirabile fervore di spirito e le virtù di quest'uomo di Dio, lo ascoltava volentieri e lo invitava insistentemente a voler rimanere presso di lui.14  Il biografo dice “anche il Sultano” a significare che Francesco parlò difronte un numero imprecisato di persone. Non solo: aggiunge infatti che al-Malik insisteva perché restasse con lui. Tutto ciò ci dice che il Sultano era attorniato da persone abituate ad ascoltare discorsi spirituali e che egli stesso era abituato a scegliere persone di questa indole che gli stessero accanto. Questa abitudine del re d'Egitto è ancora evidente in altro passo della Legenda maior di frate Bonaventura. Ad un certo momento della predicazione, preso dall'entusiasmo, Francesco propose al Sultano un'ordalia, una prova del fuoco: “Ordina che venga acceso un gran fuoco, ed io entrerò in esso insieme con i tuoi sacerdoti. Così tu vedrai quale sia la fede più vera e più santa.15 Ma il Sultano sorridendo affermò che non ci sarebbe stato nessuno dei suoi a compiere questa prova. E mentre parlava, un suo sacerdote “tra i più eminenti e innanzi con gli anni” escì dalla stanza. Chi era questo personaggio eminente molto anziano? E chi erano gli altri che stavano nelle grazie del Sultano? Il teologo, esperto orientalista e grande conoscitore dell'islam, Louis Massignon, ritiene che quel grande saggio accanto ad al-Malik fosse il novantenne sufi Fakhr al-Din Farisi, denominato “orgoglio della religione”, guida spirituale del sultano; era teologo e filosofo e proprio in quegli anni si stava dedicando allo studio del misticismo.  Quando unaAl Hallaj, mistico-sufi islamico, trucidato per le sue visioni religiose - Codice persiano fonte araba riferisce che un venerando sufi “fu consultato dal Sultano per l'affare del famoso monaco”,  si riferiva  molto verosimilmente a lui. Al-Din Farisi fin dalla giovinezza era stato affascinato, dalla vita, della predicazione e degli scritti lasciti del grande sufi persiano Al-Hallaj. Costui era un mussulmano persiano, vissuto sul finire del I secolo,  che, attraverso lo studio appassionato del Corano, aveva scoperto un altro volto di Allah diverso da quel Dio inavvicinabile, giudice inesorabile, che nelle scuole coraniche veniva di solito presentato. Si era appartato inizialmente in una vita ascetica in preghiera, meditazione e solitudine. Ma alla scoperta definitiva che “ Dio è Amore”,  usciva dalla solitudine ascetica e scendeva a vivere tra il suo popolo per annunciare a tutti che Dio si può raggiungere attraverso la conoscenza che Dio ama infinitamente tutte le sue creature, uomini cose e animali, e attraverso il creato egli mostra i suoi segni agli uomini.  Al-Hallaj chiamava Allah con nomi dolci, amorevoli come “Amore”, “Amico” e lo predicava al popolo con tale enfasi, con tale gioia da muovere gli animi anche di coloro che non capivano.  Anche in Al-Hallaj , come in Francesco, è presente il desiderio del martirio in quanto attraverso di esso sarebbe stato redento. “ O musulmani, Dio ha dato il mio sangue innocente per voi! Uccidetemi dunque, (...) uccidetemi, voi ne sarete ricompensati e io ne otterrò il riposo, perché voi avrete combattuto per la fede, e io invece il martirio. Uccidetemi, miei fedeli compagni, è dentro la mia uccisione che c'è la Vita. La mia Morte, è sopravvivere, e la mia Vita è morire”. Al-Hallaj aveva combattuto le ipocrisie, i fanatismi dei dei suoi correligionari e per questo molti studiosi lo hanno accostato alla figura di Gesù: infatti per aver detto ai fedeli che andavano alla Mecca  “quello che conta è girare sette volte intorno alla Kaʿba del proprio cuore”, fu arrestato, processato, straziato e ucciso orribilmente.
Alla corte di al-Malik c'erano anche i saggi sufi egiziani seguaci di Âbu âlFath âlWâsiti, la cui fama è arrivata ai giorni nostri attraverso il famoso scritto “La lode a Dio secondo le parole del Corano”, una opera d'amore per Dio intessuta con con le parole stesse del Corano che intreccia un canto di lode al Creatore di tutte le cose, come canto amorose sono le lodi che Francesco intonerà nel “Cantico delle creature”.
Nel Nome di Dio, Misericordioso, Misericordia. Lode a Dio signore dei Mondi...  
E il sole, la luna, le stelle sono sottomessi al Suo comando. La Creazione e il comando appartengono solo a Lui. Sia lode a Dio, il Signore dei mondi. Invocate il Signore con umiltà e raccoglimento...
Egli ha posto la luna come una luce; Egli ha posto il sole come una fiaccola. Dio vi ha fatti crescere dalla Terra come le piante...
Egli, il Fonditore dell’alba, ha fatto della notte un riposo; il sole e la luna per computare. Egli vi ha assegnato le stelle affinché grazie ad esse vi guidiate nelle tenebre della terra e del mare. Certo noi esponiamo prove per coloro che sanno. Egli vi ha creato a partire da un'anima unica, ricettacolo e deposito. Egli fa scendere dal cielo l’acqua. Poi con essa vien fatta germogliare ogni pianta dalla quale vien fatta uscire una verzura, e da questa i semi sovrapposti gli uni agli altri. Ed anche i vigneti, l’ulivo e il melograno, simili o differenti gli uni dagli altri. Guardate i loro frutti quando si producono e quando maturano. Ecco dei segni per coloro che hanno fede...
Gloria a Dio che fa scendere dal cielo un'acqua pura, preziosa, ed umile per far rivivere con essa una contrada morta e dar da bere ai molti animali e agli esseri umani che ha creato...
Ciò che è nei cieli e sulla Terra celebra le Sue lodi. Egli è l'Onnipotente ,il Saggio. Lodate dunque Dio la sera e la mattina e anche la notte e a mezzogiorno. A Lui la lode nei cieli e sulla terra

Francesco rimase nel campo saraceno parecchi giorni, non quantificabili, trattenuto dal sultano ed è evidente che parlasse e discutesse con i consiglieri spirituali alla corte di al-MaLa mistica danza dei Sufilik. I frati rimasero sorpresi nel sentire l'armonioso richiamo alla preghiera del mu'azin riecheggiare nell'accampamento saraceno:  “Allah Akbar! Allah Akbar ! (Allah è più Grande).  Hayya alà s-salà! (Venite alla preghiera)”  Possiamo ritenere che anche  i frati si inginocchiassero e pregassero, alla loro maniera, insieme agli infedeli.  Più tardi Francesco si ricorderà di questa esperienza. Il primo è un passo della "Lettera ai Custodi", cioè i responsabili di comunità locali o regionali, scritta tra il 1220 e il 1224: “A tutti i custodi dei frati minori ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo e piccolo nel Signore Iddio, augura salute con nuovi segni del cielo e della terra, segni che sono grandi e straordinari presso il Signore e sono invece ritenuti in nessun conto da molti religiosi e da altri uomini... Dovete annunciare e predicare la sua gloria a tutte le genti, cosi che ad ogni "ora" e quando suonano le campane, sempre da tutto il popolo siano rese lodi e grazie a Dio onnipotente per tutta la terra.” Il secondo proviene dalla “Lettera ai Reggenti dei popoli”, scritta certamente in Siria nel 1220, quando ancora Francesco sente risuonare l'appello alla preghiera: “E siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che siano rese lodi e grazie all'onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo.16
I sufi che dialogavano con i due frati erano molto preparati e rispondevano ai santi discorsi dei francescani con risposte pertinenti  e cortesi. Anche loro parlavano di Gesù, lo chiamavano Isa ibn Maryam , Gesù figlio di Maria. Essi erano disposti al dialogo con “certi cristiani” come quelli che avevano davanti: “Non dialogate se non nella maniera migliore con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che  sono ingiusti. Dite loro: Crediamo a ciò che è stato rivelato a noi, crediamo a ciò che è stato  rivelato a voi,  il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo.17
S. Francesco e il Sultano al Malik al Kami, in un dipinto del francescano R. LentzPoi fu il momento di partire. Francesco non aveva convertito il Sultano, anche se alcuni testi francescani asseriscono il contrario. “Il Saladino gli disse: « Francesco, io mi convertirei volentieri alla fede di Cristo, ma temo di farlo adesso; infatti se costoro lo capissero ucciderebbero me, te e tutti i tuoi compagni.»” 18
“Dal Saladino fu ricevuto con grande onore. Questi gli diede segni di favore e, offrendogli molti doni, tentò di piegargli l'animo alle ricchezze del mondo. Ma vedendolo sprezzare tutto come stento, rimase pieno di meraviglia grandissima, riguardandolo quasi come un uomo diverso dagli altri; fu commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri.19
Nel vedere che Francesco era così perfetto spregiatore delle cose del mondo, il Sultano, spinto da viva ammirazione, concepì concepì per lui una più grande devozione. Perciò, pur non volendo passare alla fede cristiana – o forse non avendone il coraggio – pregò devotamente il servo di Gesù Cristo di voler accettare quei doni e distribuirli alla chiese e ai cristiani poveri, per la salvezza della sua anima. Ma Francesco, che rifuggiva dal peso del denaro e non vedeva nell'animo del Sultano alcun principio di vera pietà, non volle saperne in nessun modo.20

 

8 Regola non bollata, cap. XIV

9 Franco Cardini Le Crociate, cap. III

10 Gwenolé Jeusset Francesco e il Sultano, cap. 6

11 Tommaso da Celano Vita seconda, Parte seconda, cap. IV

12 Pierre Leprohon Francesco d'Assisi

13 Bonaventura da Bagnoregio Vita di san Francesco (Legenda maior), cap. IX

14 Ibidem

15 Ibidem

16 Gwenolé Jeusset Francesco e il Sultano, cap. 10

17 Corano Sura XXIX, 46

18 Fioretti di san Francesco, cap.

19 Tommaso da Celano Vita prima, Parte prima, cap. XVII

20 Bonaventura da Bagnoregio Vita di san Francesco (Legenda maior), cap. IX


Torna alla Prima Parte

Vai alla Terza Parte