Ho sempre pensato che l'evangelista Matteo non fosse quel Levi, esattore di tasse, che Gesù ha chiamato a seguirlo. Sono consapevole che è solo una mia supposizione e che mai ho approfondito.
Questa idea però mi è ritornata in mente, rileggendo il Vangelo di Matteo nell'episodio in cui parla di Giovanni Battista. Ho avuto la sensazione di leggere un testo di una persona istruita e non di un semplice contabile arricchito, ma di uno che conosce la scrittura, conosce i metodi del racconto tipico ebraico della Torah e biblico in genere e che è ferrato nelle problematiche teologiche: insomma se non è un rabbi, è molto probabilmente uno scriba. Egli presenta un personaggio diverso dagli stessi altri due sinottici: il Giovanni descritto sembra conoscere chi è Gesù e quale sia la sua missione. Matteo per la sua composizione usa il Vangelo di Marco, ma lo mette in ordine e soprattutto lo fa con una visione teologicamente competente.
«In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!» (Mt 3,1-2)
Matteo usa una terminologia tipica della scrittura ebraica e biblica, infatti «in quei giorni» non si riferisce a una data, non vuole specificare una precisa datazione, lo specificare di un avvenimento avvenuto prima o dopo un altro fatto, ma semplicemente vuol dire che «in un certo periodo c'è la presenza di Giovanni nella vita pubblica giudaica». Quindi Giovanni non appare all’improvviso, non è uno sconosciuto: Matteo sta richiamando alla memoria storica un personaggio comunemente chiamato il Battista, così conosciuto perché battezzava «nel fiume Giordano». Inoltre non era solo un battezzatore, ma era anche uno che veniva «a predicare nel deserto della Giudea», per cui era una persona che faceva una cosa ripetitiva, cioè reiterata nel tempo, e quindi la gente lo conosceva e si era abituato ad ascoltarlo e vederlo attorniato da discepoli. Se quel «comparve Giovanni il Battista» stesse ad indicare una presenza improvvisa, mai vista prima, non avrebbe già dei seguaci. La sua presenza costante da molto tempo è specificata più avanti quando Matteo afferma: «accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano». La sua fama era grande tra il popolo ed è riconosciuta storicamente da Giuseppe Flavio il quale nei suoi scritti ricorda che attorno a Giovanni si era riunita una moltitudine di persone.
«Ad alcuni dei Giudei sembrò che l’esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l’uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo... Ma quando si aggiunsero altre persone, che infatti provarono il massimo piacere nell’ascoltare i suoi sermoni, temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione, parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro sua esortazione, ritenne molto meglio, prima che da ciò nascesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l’iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli, per questo sospetto di Erode, fu mandato in catene alla fortezza di Macheronte dove fu ucciso.» (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche XVIII, 116-119).
C'è una frase in particolare che merita di essere analizzata. Matteo infatti fa dire a Giovanni: «Io vi battezzo per la conversione». È un’affermazione differente da quella di Marco: «…si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1, 4); Luca ugualmente dice di Giovanni: «Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc 3, 3). In questa differenza appare chiarissima una sensibilità teologica che non hanno avuto gli altri due sinottici: Marco infatti costruisce il suo Vangelo dalle predicazioni di Pietro che, nonostante abbondasse di una fede viscerale e granitica, certamente non aveva dimestichezza con gli argomenti teologici; lo stesso Luca, scienziato e filosofo, scrive il suo Vangelo dopo aver raccolto testimonianze di personaggi interni ed esterni al movimento di Gesù Cristo, e inoltre, avendo accompagnato Paolo di Tarso nei suoi viaggi di predicazione, aveva recepito il tema preferito dell’Apostolo dei gentili, istruito dallo stesso Cristo nelle apparizioni, sul significato del Regno predicato e della persona del Cristo. Matteo fa una operazione di alta teologia: presenta Giovanni cosciente che il suo battesimo non poteva togliere i peccati, ma diventava un rito simbolico di conversione per i Giudei. Giovanni è consapevole che la gente comune senza pregiudizi, i semplici, che con sincero desiderio aspettavano un Messia, «confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano», ma quando «vedeva farisei e sadducei venire al suo battesimo» (Matteo non nomina gli scribi per imbarazzo?) leggeva nei loro cuori l’arroganza e la presunzione di non aver bisogno di cambiare mentalità e vita perché avevano Jaweh dalla loro parte. «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.» (Mt 3, 7-19) Matteo fa ripetere la stessa espressione a Gesù, come per avvicinarlo a Giovanni, oppure il contrario: «Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 19, 19).
Giovanni quindi è ben cosciente per dire che quel battesimo nelle acque del Giordano non rimetteva i peccati, sapendo che Gesù stesso, che non aveva peccati da cancellare, si sarebbe immerso nell'acqua del fiume davanti a lui per dimostrare che da quel momento in poi iniziava una nuova vita, un cambiamento radicale nella storia del popolo ebraico e dei popoli tutti. Egli evidentemente sapeva che la remissione dei peccati comportava l’estremo sacrificio, infatti Matteo posporrà la «remissione dei peccati» nell’ultima cena: «Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo". Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati."» (Mt 26, 26-28)
Prima ancora di presentare Gesù, il Battista anticipa gli insegnamenti della scienza spirituale della predicazione del Cristo e quindi si esprime come un uomo capace di intuire o di sapere ciò che Gesù sta per compiere. Dice Giovanni: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Mt 3, 2). Ancora una volta Gesù e Giovanni sono avvicinati nelle espressioni di sollecitazione: «Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino."» (Mt 4, 17). Cos’è la conversione? Abbiamo ascoltato nel nostro tempo l’accorato appello della Santa Madre di Gesù nelle sue apparizioni: «Convertitevi! Convertitevi!» Giovanni con una frase lapidaria spiega come predisporsi per farsi perdonare i peccati: «Fate dunque frutti degni di conversione». Sarà poi Gesù a spiegare questo concetto: «Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». (Mt 25, 34-40)
Con chiarezza si percepisce che Giovanni reputa che le opere buone sono legate al pentimento dei propri errori o peccati e quindi alla conversione, concetti inerenti al significato del battesimo. Matteo sembra intuire in Giovanni un concetto che egli svolgerà nel capitolo 7 del suo Vangelo: è più importante la fede o le opere? Giovanni sottolinea la necessità di «frutti degni di conversione» e Gesù di rimando afferma: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21). Matteo fa ripetere a Gesù la parola «volontà» per ben sei volte e sempre specificando «del Padre mio» e mai la sua. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Prima però che Gesù ufficialmente consegnasse il nuovo comandamento, aveva ben definito la sua missione in rapporta al Padre: «Misericordia voglio Andate dunque e imparate che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrificio”. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13), «Se aveste compreso che cosa significa: “Misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato individui senza colpa» (Mt 12, 7). Questo concetto di “misericordia – amore” che deve essere la base su cui poggiano i «frutti degni di conversione» riappare nella profezia dei falsi profeti: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 24, 11-13); ma anche quelli che pensano di aver fatto opere buone, come i carismatici o coloro che basano le loro opere su presunti o veri contatti col Cielo, ma avranno dimenticato la “misericordia” e quindi colpevoli del dilagare dell'iniquità, che è causa del raffreddamento dell’amore, saranno scacciati: «Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?” Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.» (Mt 7, 22-23)
Giovanni Battista di Matteo è il precursore di Gesù Cristo perché annuncia la sua venuta: «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco.» (Mt 3, 11) Giovanni ci tiene a precisare che il suo battesimo è differente da Colui che «è più potente». L’acqua è un elemento di purificazione molto usato dagli ebrei nelle abluzioni quotidiane e dagli Esseni anche come rito di purificazione. Però, rispetto a Marco o Luca che parlano solo di Spirito o Spirito santo, Giovanni, di Matteo, aggiunge «fuoco». Oltre a sottolineare la maggior potenza del fuoco che purifica anche i metalli più preziosi, Giovanni sta precorrendo le parole di Gesù sull’uso purificatore del fuoco. Giovanni conosce Gesù, è cosciente del suo potere, e, cosa mai a sufficienza sottolineata, gli fa atto di umiltà e obbedienza: «Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però cercava di impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì» Mt 3 13-15). Il Battista sapeva benissimo che Gesù non aveva nulla di cui pentirsi o nessun motivo per convertirsi ed è logico che tentava di impedirgli di essere battezzato, ma alla giustificazione che gli viene data egli umilmente obbedisce a chi spiritualmente «è più potente»: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Giovanni e Gesù avevano una missione complementare e bisognava portarla al termine, fare cioè tutto ciò che le profezie avevano annunciato in modo tale che gli ebrei potessero capire, il resto l’avrebbe compiuto Gesù.